Un filo giallo paglierino

 

 

 

Con “Il profumo del mosto e dei ricordi”, un romanzo familiare e di ricerca delle proprie radici, la giovane scrittrice Alessia Coppola si è aggiudicata il premio eno-letterario “Vermentino” assegnato oggi a Olbia a chiusura della rassegna di eventi dedicata al vino della Gallura, unico in Sardegna a fregiarsi dell’etichetta DOCG. Organizzato dalla Camera di Commercio del nord Sardegna e Promocamera, in collaborazione con i comuni di Olbia e di Castelnuovo Magra in Lunigiana, il concorso letterario ha visto la partecipazione di una decina di case editrici nazionali che hanno candidato opere legate dallo stesso filo conduttore : vino. Tema centrale anche degli interventi durante la cerimonia di assegnazione aperta dal saluto del presidente della Camera, Gavino Sini, che ha ricordato come l’edizione 2018 abbia voluto rappresentare nel segno del Vermentino il legame tra Sardegna, Corsica, Liguria e Toscana regioni unite da un “filo giallo paglierino”, accomunate dalla stessa produzione vitivinicola del Vermentino. Un bilancio positivo per il successo a Olbia dell’intera rassegna “Benvenuto Vermentino” riconoscimento all’impegno dei produttori e con il premio letterario- ha concluso Sini- si è realizzata una “felice contaminazione tra impresa e cultura”.
Le iniziative culturali rappresentano un forte attrattore per la promozione del territorio e delle sue produzioni d’eccellenza, ma il connubio tra vino e letteratura è un testimonial particolarmente efficace. È emerso nel dialogo del giornalista Giovanni Fancello con lo scrittore di viaggi su due ruote Emilio Rigatti, autore del romanzo “Gli alchimisti delle colline”; nel contributo di Federico Quaranta autore in Rai di Linea Verde e conduttore radiofonico di Decanter; nell’intervento della nuora di Mario Soldati che ne cura la memoria con la fondazione a lui dedicata, menzionato per il suo “Vino al vino”; nei reading dell’attore Daniele Monachella. Il vino è un’alchimia, il prodotto dell’opera appassionata del suo creatore di cui racconta pregi e difetti, insieme alla geografia, alla storia e ai saperi di un territorio. È il riflesso di storie individuali e collettive nel segno di un legame lungimirante con le proprie radici e della resistenza alle difficoltà.

L’altro volto del fantasy

 

Un’ispirazione dettata dalle circostanze e dal caso, un’altra invece pensata  –  forse con il gusto di una nuova sfida – per rispondere all’editrice Marsilio che anche a Michela Murgia ha proposto di far parte del catalogo che accoglierà le opere letterarie scaturite dal rapporto degli scrittori con un libro per loro significativo.  E  Michela Murgia ha scelto un fantasy, “Le nebbie di  Avalon”   di Marion Zimmer Bradley.  Ieri sera, nell’incontro organizzato alla libreria Ubik di Olbia, ha raccontato di averlo acquistato proprio in città mentre si trovava alla stazione marittima, in attesa dell’imbarco che doveva portarla nella Penisola a un raduno della community  virtuale di giocatori fantasy di cui fa parte.  Un titolo, quello della Zimmer Bradley, scovato in un’edizione “più da edicola che da libreria”  e scelto quasi a caso, soprattutto per lo spessore, perché le facesse compagnia durante la navigazione notturna; un talismano contro la paura e viatico a una “consapevole morte” in caso di naufragio. “Scesi dalla nave femminista e anticlericale”, questo il finale dell’aneddoto da cui nasce “L’inferno è una buona memoria”  il nuovo libro di Michela Murgia, nel  ricordo offerto a un pubblico divertito.
Da allora è cambiata la sua percezione di un genere, il fantasy appunto, ingiustamente considerato minore  un po’ come i libri gialli. “Non esistono generi ma solo scrittori minori” , obietta lei, e il  fantasy può a buon diritto annoverare nel canone anche opere altrimenti classificate, come la Divina Commedia e la Bibbia.  Inoltre le trame e gli intrecci fantasy hanno un grande successo tra i lettori, a dispetto dell’ambientazione in epoche oscure  e lontane, come il Medioevo, perché da Re Artù e i suoi Cavalieri della Tavola Rotonda i racconti si poggiano sullo stesso  registro di valori antichi e immortali : amore, coraggio, lealtà.  Il genere fantasy è capace di raccontare la realtà più della letteratura e dunque bisogna restituirgli dignità. E Michela Murgia con il suo   “L’inferno è una buona memoria”  opera anche la riparazione di un altro errore di prospettiva.  “La narrazione è quella della classe dominante, ma la realtà raccontata al femminile diventa un’altra storia”, e spiega  che l’epica cavalleresca di re Artù e le gesta dei  Cavalieri si sviluppano in un eroismo solo maschile; mentre le figure femminili sono relegate in ruoli ai margini.  “Alle donne le cose capitano, non le fanno succedere”, al contrario nell’opera della Zimmer Bradley le storie di Avalon sono declinate al femminile e descrivono un mondo in cui la donna usa anche le persone che ama per raggiungere i propri scopi. Il  successo o l’autoaffermazione vengono conquistati anche attraverso percorsi tortuosi o rovinosi.  Questo aspetto soprattutto sembra aver ispirato Michela Murgia nel collocare al centro del nuovo racconto le donne della sua famiglia, a cominciare dalla nonna “matricentrica” definizione rubata al collega  Marcello Fois, con la rivisitazione del concetto di cultura matriarcale in Sardegna, dove molto più realisticamente, le donne si sono ritrovate  in un ruolo e lo hanno esercitato  “perché quel che bisogna fare si fa”  a volte anche con  durezza “è la spietatezza a portare a casa il risultato, non la tenerezza”.
Nel dibattito trova spazio anche la Murgia dell’impegno politico e civile. Incidentalmente riafferma la nota posizione indipendentista, nel racconto della sua gioia quando a Barcellona, come osservatrice nei giorni della lotta per l’autonomia catalana, ha appreso del Nobel a Ishiguro autore molto amato perché “nel suo mondo io trovo spazio” dice, a differenza dell’universo letterario di Philip Roth in cui proprio non si riconosce. Non si sottrae all’inevitabile domanda sul #MeToo e la sua posizione rispetto alle donne protagoniste del movimento :”I muri non si abbattono senza strumenti, la rivoluzione non è un invito a prendere un tè e non si scelgono le vittime in base al loro curriculum; proprio per aver vissuto una vita borderline Asia Argento è la testimonial più adatta,  o si fa per la peggiore di noi o non si fa per nessuna”.
Ma oggi è soprattutto il tema del ruolo degli intellettuali nella società a coinvolgerla, nel netto rifiuto come strumento delegittimante della definizione di radical-chic lontani dalla realtà. ”Oggi l’intellettuale deve urlare più forte e metterci la faccia”, sporcandosi le mani con quello che sa fare meglio : raccontare e testimoniare. Come il progetto in cui lei e altri scrittori italiani hanno messo un impegno personale e finanziario per il  noleggio di una nave che segue tutto quel che sta accadendo  nel Mediterraneo, lontano dai nostri occhi,  dove si continua a morire anche se non se ne parla più. Sul sito mediterranearescue.org la piattaforma aperta alla partecipazione, anche con un piccolo sostegno finanziario, di chiunque creda in un’idea diversa di Mediterraneo, come  mare di accoglienza e di umanità, per difendere il diritto alla salvezza di chi scappa da guerre o disastri ambientali.
Quando le chiedono perché abbia smesso con le sue inappellabili stroncature, risponde :“Non lo faccio più da  quando l’autore che ho stroncato è salito in cima alle classifiche di vendita, cioè Diego Fusaro con il suo “Pensare altrimenti”. Dispensa invece consigli di tre buone letture : “Da un altro mondo”  (E. Santangelo);  “Le assaggiatrici” (R. Postorino) e  “Ragazze elettriche” (N. Alderman). Lei che è una lettrice forte, perché deve recensire i libri di altri autori  e  scrivere i suoi, confessa di apprezzare sempre più il valore del tempo, troppo poco per sprecarlo in letture inutili, e se bisogna fare una scelta la sua va ai saggi.  Le parole di saluto sono l’omaggio di una scrittrice matura alla forza delle parole  e delle storie : “Oggi sento una responsabilità diversa per quello che scrivo. Non penso a catechizzare, ma mi interrogo sulle conseguenze di ciò che scrivo ; anche se non puoi saperlo prima in che modo e in che misura,  un libro può cambiare qualcosa nella vita delle persone, per questo ho paura di chi ha letto un solo libro”.

 

 

L’amore è rivoluzionario

 

Comunque la pensiate su amore, coppia e famiglia, Diego Fusaro è il “disturbante” che non vi lascerà indifferenti. È uno che rompe gli schemi, il non-allineato al pensiero unico, che esprime senza imbarazzo la sua ideologia controcorrente, rivendicando il “coraggio di pensare altrimenti” e rilanciandolo come messaggio finale dell’affollato incontro di presentazione, alla libreria Ubik di Olbia, del saggio Il Nuovo Ordine Erotico l’ultima di una nutrita serie di pubblicazioni. Fusaro ha una vasta platea di lettori diversi per età, convinzioni personali, idee politiche, e un grande seguito dei suoi video su YouTube tra i giovanissimi che anche alla Ubik hanno atteso per il consueto firma copie e la foto di rito.
Eppure, Diego Fusaro è in apparenza lontano dai riferimenti giovanili attuali. Per la borghese sobrietà del suo look, il cortese distacco torinese, a tratti riscaldato dal sorriso spontaneo con cui si è offerto al fuoco di fila di domande dal pubblico. Ma soprattutto per il suo elevato e complesso registro comunicativo, intercalato anche di parole desuete, per le citazioni e connessioni che emergono da una cultura vasta e profonda. Insomma Fusaro è uno che non fa il piacione, ma piace, benché antitetico al modello corrente dell’intellettuale costruito nei talkshow e salotti televisivi.
Strappa un applauso a scena aperta quando dice di non avere la TV in casa e invita al ritorno alla lettura dei libri: dai grandi del pensiero politico e della filosofia, ai classici della letteratura. A un percorso da Platone a Gramsci, che ricomprenda Dante e Shakespeare, ma in particolare Orwell con il suo 1984, testo fondamentale per interpretare il nostro tempo. Il tempo del nuovo ordine capitalistico mondiale, nato con la caduta del Muro, che ha generato anche un nuovo ordine erotico in cui i sentimenti sono l’equivalente di merci, e quindi destinati a un consumo rapido funzionale alla conservazione del potere della grande finanza speculativa.
Fusaro vede un determinismo, un rapporto di causa-effetto, tra il nuovo sistema capitalista post 1989 che  nel creare un sistema di rapporti di lavoro precari, ha anche scardinato le relazioni affettive, tolto valore ai sentimenti durevoli e alla famiglia intesa come il nucleo fondante della comunità umana. E non rappresentano la famiglia, secondo Fusaro, le contemporanee variazioni sul tema della convivenza, tantomeno quelle allargate ai cani o ai gatti. La famiglia è quella che discende dalla coppia formata da un uomo e da una donna con un progetto di vita comune.
La nostra non è l’era di nuove forme di libertà, ma quella governata dai liberisti anti-stato e dai libertini anti-famiglia. Entrambi mirano all’assenza del limite : i primi nel profitto economico, gli altri in quello erotico. La deregulation è il loro obiettivo, la totale assenza di vincoli etici nel capitalismo e nell’erotismo. La mitizzazione degli startupper di successo ritrova il suo parallelo nel canone classico del Don Giovanni, oggi figura del consumatore di relazioni istantanee, con possibilità che il web rende pressoché illimitate con il moltiplicarsi dei siti di incontri. E anche l’impossibile stabilizzazione dei rapporti professionali, per tanti oggi coincide con l’instabilità affettiva. Diversamente dalle generazioni precedenti non si guarda più al futuro come prospettiva di redenzione, ma con la paura che sia peggiore del presente. E in un mondo che vive di istanti,  liberisti e libertini hanno buon gioco nel dimostrare che il loro è il progetto di vita vincente.
Fusaro prende le distanze dal “teorema gender” che risponde solo a una scelta individualista; il che non significa “essere omofobi”, chiarisce subito, ma ridare centralità all’eterosessualità la sola che consente la riproduzione della specie. Il suo è un netto rifiuto sia del lessico finanziario di termini quali banca del seme, utero in affitto che dello sfruttamento dell’altrui povertà retrostante la pratica della maternità surrogata. Nel nuovo ordine mondiale l’individuo esercita una volontà di potenza in cui ogni sua decisione è sovrana, finché la sua disponibilità di denaro glielo consente, ma spesso la sua libertà formale nasce dalla schiavitù materiale di altri.
È da respingere la visione del mondo come un “grande buffet” a cui liberamente ci si può servire, secondo i propri gusti e disponibilità finanziarie, dove anche i capricci come quello di una maternità impossibile per natura diventano diritti civili riconosciuti per legge. Secondo Fusaro siamo tornati nelle “caverne”, nell’oscurantismo di falsi miti libertari, e non ci resta che rifare il percorso all’indietro, ripartendo dall’amore, gratuito e incondizionato, all’origine della famiglia donativa. L’amore che è ricerca e ritrovamento della nostra “altra metà”, dell’altro che ci completa, non la scissione degli individui in “atomi gaudenti” che la nostra epoca vorrebbe imporci.
L’amore, ricorda Fusaro, accade. E quando accade scombina un ordine, sconvolge e cambia la vita, ma ogni giorno ci chiede un nuovo impegno di conferma della sua durata. È progetto di futuro insieme alla persona amata che è insostituibile.Questo oggi è il vero atto rivoluzionario.

Riprendersi la vita

Luigi Mattana, a Olbia è per tutti Ginetto. Fondatore e presidente di Libere Energie, l’associazione che dal 2010 in città si occupa delle povertà estreme, e in particolare dei senza-tetto, di coloro che vivono per strada, o  come la legge li definisce i “senza dimora”.  Nella grande galassia del non-profit italiano, Libere Energie è sul territorio un importante riferimento, sostenuto dalla generosità di donazioni private, anche con la destinazione del 5×1000, e dalla collaborazione di 15 volontari che dedicano  tempo ed energie all’Associazione. Anche l’organizzazione di eventi e iniziative, come SolidArte, pochi giorni fa nel centro storico di Olbia, diventano occasioni per la raccolta di  fondi e per diffondere il messaggio di sensibilità e attenzione verso le persone che mancano non del superfluo, ma dell’essenziale all’esistenza. Per loro nella sede di Libere Energie si raccolgono indumenti, coperte, alimenti e altri beni di prima necessità, ma capita anche di consegnare la bombola del gas, pagare una piccola utenza o un ticket sanitario. “Libere Energie non è un centro di distribuzione; noi interveniamo su segnalazione di situazioni di estrema difficoltà, ma attraverso l’associazione vorremmo fare una vera assistenza e non solo un assistenzialismo emergenziale” sottolinea Ginetto Mattana, che aggiunge : “Non è poco colmare il bisogno del momento, ma non basta a risolvere i problemi delle persone in difficoltà”. Libere Energie è un sostegno per sopperire all’emergenza esistenziale di tante persone e famiglie, che nei casi più estremi ricorrono al dormitorio, una luce  nella cieca disperazione di chi ha perso tutto, la struttura comunale gestita dalla Caritas diocesana e di cui Mattana è un operatore. “Il dormitorio è la risorsa estrema, la struttura offre un ricovero temporaneo per la notte e un posto a tavola nella vicina mensa sociale”.
A Olbia la rete della solidarietà è estesa e a maglie fitte, potendo contare anche sull’azione delle parrocchie e sull’aiuto delle donazioni private, entrambi una goccia nel mare dei tanti bisogni,  ma soprattutto delle persone (numerose ma mai abbastanza) che la sostengono con il loro impegno come volontari. E Ginetto Mattana è uno di quei volontari da prima linea che osserva i “ragazzi”, come lui chiama gli ospiti del dormitorio, senza che loro percepiscano il distacco dalla normalità della loro condizione : “Ho di loro una considerazione profonda e loro lo avvertono”. La sua naturale inclinazione a guardare al prossimo, senza pregiudizi, è rafforzata  dalla fede nella Regola francescana e da una vita intensamente vissuta, lungo un cammino solo in apparenza non lineare. Prima  giovane frate cappuccino, poi con il saio di itinerante, anche eremita in una parentesi di vita monastica, poi il ritorno a una vita laicale ma sempre nel segno della forte spinta verso gli altri e al sostegno di quelli più in difficoltà. “Non credo ci siano persone che consapevolmente scelgono di vivere per la strada; ma a volte per chi ha avuto una vita molto tribolata è perfino difficile chiedere un aiuto”.
A Olbia si registrano circa  80 persone senza dimora, che durante il giorno diventano invisibili agli occhi di una città presa dalle sue mille occupazioni. “Sono italiani per un 60%, e fra questi tanti i sardi e qualche olbiese. Si tratta  in prevalenza di uomini, con un’età media dai 40 ai 60 anni,  per i quali l’alternativa al dormitorio è rappresentata da precari rifugi in ruderi di case abbandonate, in macchina o sotto un portico”, spiega Mattana.
Le ragioni per cui si può finire per strada sono diverse,  ma la causa più frequente è la perdita del lavoro. La strada può anche rappresentare la deriva finale di trascorsi esistenziali in carcere o nella tossicodipendenza, ma anche della depressione seguita a una delusione sentimentale o a un dolore che non si riesce a superare. I senza dimora sono persone fragili, cadute sotto i colpi di vite difficili che li hanno messi a dura prova, spesso allontanati dalle loro famiglie o con le quali loro hanno deciso di tagliare i ponti. “Capita che alla perdita del lavoro si accompagni quella degli affetti più cari. Si perde il proprio posto nel mondo e il rischio di finire per strada è dietro l’angolo. Scivolare in una condizione marginale non è cosi difficile soprattutto oggi per  la lunga crisi economica, i percorsi possono essere diversi,  ma l’esito è scontato, ricorda Mattana :“La strada non perdona, la strada fa perdere la dignità e la condizione di queste persone è aggravata da un alcolismo diffuso, da cui è difficile venir fuori”.  Tante negli anni  le storie delle anime alla deriva che Mattana ha ascoltato, ma  i racconti di vite sofferte che non si possono dimenticare sono soprattutto quelli di chi non non c’è più.  Le condizioni di abbandono e solitudine, i pericoli in ricoveri di fortuna o gli incidenti causati dall’ubriachezza, l’insicurezza a cui espone la vita per strada  possono anche uccidere.
“Se potessimo aiutarli nella ricerca di un lavoro potrebbero  più facilmente  ritrovare se stessi e la loro la dignità. Il dormitorio è un grande aiuto, ma solo come ricovero per la notte, quindi un riferimento temporaneo. Il progetto al quale stiamo lavorando, e sarebbe importante realizzare come Libere Energie, è l’apertura di un centro diurno. Un luogo di accoglienza, dove possano avere anche un’assistenza medica di base e curare l’igiene personale. Una struttura con spazi per laboratori formativi che li aiutino ad imparare un mestiere e nella ricerca di un’occupazione.  Noi di Libere Energie crediamo che il lavoro sia l’unica soluzione per toglierli dalla strada e ridare loro dignità, ma per questo occorre una struttura e non è un sogno impossibile”.  Gli chiedo cosa vede nei loro occhi, nello sguardo dei suoi  “ragazzi” senza dimora : “Nei loro occhi leggo paura, tristezza, rabbia, ma anche tanta voglia di riprendersi la vita”.

La Fede vince il Male

Con le sue parole dettate dalla forza rassicurante della fede, don Gianni Sini prete esorcista, ha accompagnato e coinvolto il pubblico presente nella basilica di San Simplicio in un viaggio nella parte più oscura dell’esistenza, in cui Satana, «il Maligno» per definizione, recita il ruolo che la storia dell’umanità da sempre gli assegna: quella di Principe o Signore delle Tenebre. L’occasione è stata la serata di presentazione a Olbia del volume “In viaggio con l’esorcista”, collaborazione tra don Gianni Sini e Pasquale Demurtas, che nel racconto dei casi di esorcismo analizza le forze negative che nella società contemporanea operano contro Dio e contro l’uomo.

Nella sua lunga esperienza di esorcista, don Sini ha aiutato molte persone in cui si è manifestato il Male nella sua forma più inquietante : la possessione del corpo e della mente di donne, uomini ma anche di bambini. In tanti negli anni hanno trovato in don Sini la via della liberazione da forze devastanti. A lui si sono rivolti cattolici, ortodossi, musulmani, così come atei e agnostici. Il fenomeno delle possessioni prescinde, infatti, dalla pratica religiosa o confessione  di appartenenza, ma riguarda il 2% dei casi affrontati dall’esorcista. Per il resto si tratta di patologie psico-fisiche curabili dalla scienza medica. I segni più frequenti riscontrabili nelle reali possessioni demoniache si manifestano con rivelazioni di fatti segreti o lontani, una forza fisica sproporzionata, l’esprimersi in una lingua fino ad allora sconosciuta, l’avversione per l’acqua benedetta, le reliquie di santi o le immagini sacre. La presenza demoniaca può anche infestare le abitazioni con improvvise correnti d’aria fredda, oggetti che cambiano di posto e altri fenomeni inspiegabili. A volte nei casi più difficili occorrono anni, ha spiegato don Sini, perché l’esorcista riesca a liberare un corpo dalla possessione. Più frequenti e connotate dall’ordinarietà sono, invece, le seduzioni del male nella vita quotidiana. Le tentazioni e le lusinghe che alimentano la sete di potere, l’avidità di danaro  o le esasperazioni della scienza; tutte le false suggestioni che allontanando l’uomo dai principi della Fede lo spingono verso il Male. Come le pratiche della superstizione, ha aggiunto don Sini, ricordando che sono 12 milioni gli italiani che ogni anno si rivolgono per un consulto a maghi,  cartomanti o a spiritisti per l’evocazione delle anime dei defunti. “Non esiste differenza tra magia bianca e magia nera” ha sottolineato don Sini, perché la Chiesa condanna ogni pratica divinatoria e la bolla come maleficium.

E non solo la diffusa superstizione preoccupa i ministri della Chiesa, ma anche l’attività  delle numerose sette che in Italia praticano il satanismo. La presenza di sette sataniche  è stata rilevata anche in Sardegna, dove si sono verificati episodi di profanazione delle chiese o di altri luoghi consacrati, furti di ostie da utilizzare nelle messe nere come parodia del rito eucaristico. Nell’Isola,  come in alcune regioni del sud Italia, sono ancora radicate pratiche superstiziose che mescolano antiche credenze popolari con le tracce di rituali arcaici e pagani; come quelli contro il malocchio o di liberazione da una fattura. E non sono dettate solo dall’ignoranza, ma diffuse in strati sociali molto diversi. Come ha ricordato Pasquale Demurtas, si tratta spesso di persone con un livello culturale e sociale medio-alto spinte da un bisogno di spiritualità che attraverso la Fede non riescono a colmare. Ma anche la superstizione fa parte della grande menzogna con cui Satana tenta di sedurre l’uomo per convincerlo che possa diventare come Dio.

Nel nostro tempo i segni del sovvertimento morale e spirituale causato dall’azione delle forze del male sono evidenti e non solo, ha concluso don Sini, nelle forme più atroci come la guerra o il genocidio in cui domina l’odio contro l’uomo e contro Dio, oggi le forze oscure trovano nel web un’amplificazione delle loro potenzialità espressive. E cita don Sini il proliferare in rete di pubblicazioni sul satanismo, come pure la vendita on-line  su noti siti di e-commerce di prodotti per le messe nere, ma anche i tanti giovani caduti nella trappola mortale di giochi come il blue whale. Oggi è ancora più forte il rischio di cadere nella rete di seduzione del Male che può portare alla morte del corpo e dello spirito, avverte  don Sini,  che invoca una scelta di campo perché «non ci si può rivolgere altrove, quando si ritiene che la Chiesa non abbia una soluzione ai problemi della contemporaneità. Non siamo di fronte a due realtà contrapposte: le forze del Bene contro quelle del Male, ma  a un’unica Fede, quella nella parola di Cristo,  la sola che per l’uomo possa rappresentare la vera salvezza».

Il prezzo della libertà

È un mondo a colori, dai toni vivi e brillanti, quello dipinto da Bob Marongiu. E, curiosando nella sua galleria “Bob Art & Friends” nel cuore di San Pantaleo, si ha la sensazione di compiere un viaggio a ritroso nel paradiso perduto dell’infanzia. In un Eden popolato di personaggi fiabeschi, di figure animali dai tratti umanizzati e surreali che del mondo, quello vero, sembrano conoscere solo l’allegria. Capita di rado che un artista ancora giovane viva del proprio lavoro e riesca a trasformare la sua opera anche in un business commerciale. Grandi quadri, piccole tele, insieme a un fiorente merchandising fatto di tanti oggetti come portachiavi, magliette, mug. Con la sua pittura Bob Marongiu si dimostra anche abile imprenditore di sé stesso, un artista con i piedi ben piantati a terra che  ha saputo fiutare e inseguire il successo  di mercato anche correndo il rischio di ripetersi. Ma quando gli chiedo se, dopo tanti anni, non si sia ancora stancato o annoiato, mi guarda con un meravigliato candore da puer aeternus  e mi racconta di quando gioca a dipingere con i suoi figli, di come riescano sempre a  sorprenderlo con le loro osservazioni e a regalargli ogni volta la freschezza di una nuova ispirazione : “Perché lo sguardo dei bambini è pulito e senza i filtri che noi adulti abbiamo”.
Mentre parliamo seduti nel salotto davanti alla Bob Art & Friends, dietro le vetrine illuminate  gli animali immaginari ci osservano dalle tele di Bob con i loro grandi occhi tondi, sorridenti e incuranti di ogni male del mondo. Gli chiedo quale sia il segreto della fortuna  commerciale dei suoi quadri : l’irrealtà giocosa e perenne a cui rimandano, l’apparente semplicità e quindi riproducibilità dello stile o il cromatismo da Pop-art : Il successo non è arrivato per caso; ancora prima di essere pittore, nella mia vita ho fatto molti altri mestieri e ho studiato. Ma il ricordo più bello della scuola è l’insegnante delle superiori che ci inculcava, non un arido nozionismo, ma l’apertura mentale verso il mondo. Oggi mi dispiace non aver letto in quegli anni i grandi della letteratura, ma è una lacuna che cerco di colmare anche con gli audio-libri che ascolto nei miei lunghi viaggi in macchina ”.  Bob ha ragione : il successo non arriva per caso  e il talento, qualunque esso sia, va coltivato con tenace passione : “Nei musei fissavo a lungo i Picasso e i Mirò, mi avvicinavo ai loro quadri più che potevo quasi a incollare gli occhi, fino a far suonare l’allarme… volevo scoprire e impadronirmi dei loro segreti nell’uso del colore, negli accostamenti cromatici. Ho amato anche Matisse e oggi mi piace molto Pollock. Da tutti ho preso qualcosa per poi trasformarlo in una pittura che è solo mia”. Poi, guardando verso l’esposizione delle sue tele aggiunge : ”La riproducibilità è  il prezzo della mia libertà. Il successo commerciale mi permette di aprire qui a San Pantaleo per la seconda stagione consecutiva e anche di pensare a stabilirmi in Gallura perché è un luogo che mi piace”.  La sua è una sottolineatura venata di riconoscenza; non c’è alcun cinismo in Bob Marongiu  per l’uso mercantile dell’arte, ma un sereno realismo unito al desiderio di realizzare nuovi progetti.  La libertà per lui significa anche la possibilità di ritagliarsi qualche ora a riflettere all’ombra di un maestoso albero millenario in alta Gallura, lontano dalle luci della mondanità smeraldina. Oppure sorvolare la Corsica in elicottero, un mezzo di cui è appassionato e penso forse vorrebbe colorarne uno con i rosa, i fucsia, gli azzurri dei suoi quadri, mentre mi mostra il progetto della carrozzeria di una Range Rover a cui  sta lavorando.
Tra i tanti mestieri che Bob ha fatto nella sua vita ci sono state anche le stagioni di cameriere in Costa Smeralda e mi dice : “Il  Billionaire è un luogo-simbolo, importante e necessario, come una luce stroboscopica cattura l’attenzione e attira le persone. Ma la Costa Smeralda è anche molto altro, se ti guardi intorno puoi scoprire la bellezza di un borgo come San Pantaleo, che sta diventando uno spazio ideale per fare arte e promuovere anche la cultura“. Il suo sguardo percorre la stradina in cui ci troviamo, vicino alla piazza del paese gremita di gente, ma qui il clamore della folla non arriva e l’illuminazione è scarsa. Eppure due artisti, Bob Marongiu e lo scultore Nicola Filia, hanno aperto le loro gallerie, una di fronte all’altra, e quella di Filia ospita fino a settembre anche un’esposizione di fotografi italiani importanti organizzata dalla milanese “Noema Gallery”.  “Noi artisti abbiamo scelto di lavorare e vivere qui. In un futuro non lontano vorrei vedere questi vicoli pieni di luce e vita, animati  di attività aperte tutto l’anno, come succede in altre parti del mondo dove  il turismo non dura solo una breve stagione  come qui da noi”.
Prima di salutarci gli chiedo ancora dei suoi prossimi progetti, ma lui continua a esitare: “Ne parlo poco perché non vorrei sembrare uno dei tanti populisti in circolazione, con cui oggi è facile essere scambiati e neanche voglio cadere nei soliti luoghi comuni sulla Sardegna. Ti dirò comunque che nei miei continui spostamenti da Cagliari alla Gallura, mi capita di attraversare per chilometri un paesaggio  senza alberi e allora non posso fare a meno di pensare al grande dono che la Natura ci aveva fatto e a quando un secolo fa abbiamo svenduto i nostri boschi. Davvero voglio fare qualcosa per dimostrare con i fatti, e non solo a parole, che si può vivere anche diversamente senza distruggere l’ambiente i cui viviamo. Il progetto non facile per me e a cui vorrei dedicarmi è un libro che  con testi e immagini raccolga la vera storia della Sardegna, la memoria delle nostre radici   che non viene studiata nelle scuole e che i giovani non conoscono. Se continuiamo a ignorarla, rifaremo gli stessi errori che hanno distrutto la nostra economia e il nostro ambiente. Guarda l’esempio di Ottana, uno per tutti, pensa a quanti hanno abbandonato il loro paese per inseguire la pseudo-industrializzazione del centro Sardegna.  E oggi i nostri giovani sono costretti ancora ad andar via per cercare lavoro altrove, non siamo riusciti a fargli conoscere davvero la loro terra quindi non possono neanche apprezzare le opportunità diverse, anche di lavoro, che potrebbe offrirgli”.
E mentre ancora pensa al libro, mi racconta di un altro progetto che ha già mosso i primi passi, una grande fabbrica dove tanti artisti diversi possano lavorare insieme, coinvolgendo anche esperti di economia e designer industriali. Una fabbrica dell’arte che si chiamerà Arts Industry (voluta assonanza con Arms Industry)  a Domusnovas, vicino alla tristemente famosa RWM Italia che produce ordigni a scopi bellici : “Lo so che il business delle armi è fra i più potenti al mondo ; le manifestazioni di protesta servono ma non bastano certo a fermarlo. Né io voglio, né posso fermare alcuna fabbrica perché questo significa togliere posti di lavoro e privare tante persone (con  le loro famiglie) dello stipendio che oggi portano a casa. Il mio progetto di Arts Industry è fabbricare multipli d’arte a livello industriale; venderli nel mondo con le stesse strategie produttive e commerciali che governano il mercato delle armi. Questo darebbe agli abitanti di Domusnovas e dei paesi vicini un’opportunità in più e un’alternativa concreta : la scelta di lavorare in una fabbrica di armi o in una di arte. Credo che l’arte, oggi rappresenti ancora il veicolo più efficace per diffondere un messaggio di pace, di rispetto dell’ambiente e di amore per la vita“.

Urbanistica al rush finale

 

“Solo 200 giorni per cancellare 30 anni di lunghe attese, fate presto” – esorta nella nota rilasciata oggi il presidente regionale di Confartigianato Edilizia, Giacomo Meloni, da poco anche riconfermato alla guida della Confartigianato in Gallura. Da Meloni arriva una sollecitazione forte a ridurre i tempi della politica, che mal si conciliano con quelli delle imprese. Ed è allarmante la fotografia dello stato del comparto costruzioni in Sardegna che emerge dai dati di Confartigianato, dopo i dieci anni di crisi che hanno portato i numeri del settore a un crollo verticale.  Se oggi sono ancora attive 22.378  imprese edili (di cui 13.000 artigiane) con oltre 40.000 addetti, dal 2008 al 2017 altrettante 22.000 aziende hanno chiuso i battenti e più di 45.000 di addetti al settore hanno perso il lavoro. La perdita del giro d’affari  è stata di 652 milioni di euro. Ma guardando ai numeri di chi ancora resiste, Meloni sprona la politica sul terreno della tempistica e dell’agire in concreto: “Ci sono 22 mila imprese che chiedono certezze e un nuovo sviluppo”. Sullo sfondo l’accorato appello al senso di responsabilità della politica regionale perché, con la fine incombente dell’attuale legislatura, la commissione consiliare concluda i suoi lavori così che il testo della nuova legge urbanistica approdi in aula per la discussione e l’approvazione da parte del Consiglio.
Un tema caldo, anzi rovente, tanto per la politica quanto per l’economia della Sardegna quello della legge di riforma della pianificazione urbanistica. Ma  l’approvazione del nuovo strumento normativo – secondo Meloni – è determinante per la ripresa delle costruzioni e darebbe un impulso decisivo al rilancio dell’intero settore. Positiva, con qualche distinguo, è per Confartigianato l’impostazione adottata da Cristiano Erriu, firmatario della legge e assessore regionale all’Urbanistica, dove stabilisce regole chiare per un ordinato sviluppo urbanistico : “Accogliamo con favore l’approvazione in Commissione Urbanistica dell’articolo che prevede gli incrementi volumetrici nella fascia dei 300 metri dal mare perché prevede delle regole equilibrate e finalizzate alla qualità urbanistica. Siamo inoltre favorevoli all’articolo 43 della Legge che riteniamo non debba essere stralciato”.
La legge urbanistica regionale – secondo Meloni – dovrà saper dare  quello che oggi manca : ”Certezze amministrative e normative per eliminare ogni futuro dubbio interpretativo; strumenti per rispondere alle nuove necessità del mercato; tempi ridotti nell’approvazione dei progetti e nella burocrazia; la possibilità  di operare in modo snello per riqualificare il patrimonio immobiliare esistente riducendo così il consumo del suolo”. Apprezzabile quindi la previsione nel testo di ampliamenti delle strutture ricettive perché risponde a criteri di innovazione secondo gli standard richiesti dal mercato e di riqualificazione del livello di servizi offerti a una clientela turistica, anche di profilo medio-alto, con aspettative sempre più esigenti. Ma precisa Meloni : “Questo non comporta, come non lo è stato finora, l’automatica deturpazione dell’ambiente o la sua cementificazione”.
Secondo Confartigianato la riforma dell’urbanistica in Sardegna interesserebbe non meno di 120.000 persone fra addetti diretti e indotto delle costruzioni, ma anche tanti cittadini. Un indotto non trascurabile quello dell’edilizia che muove interi segmenti economici; la produzione di materie prime e dei semilavorati, l’autotrasporto, la metallurgia, l’impiantistica, le lavorazioni di infissi e l’arredamento, per citare i principali  ma anche l’esercizio di tante attività professionali di consulenza e supporto al settore. Una buona legge urbanistica – aggiunge Meloni – potrebbe attirare in Sardegna anche investimenti dall’esterno nella costruzione o ristrutturazione immobiliare, ma anche nell’offerta di servizi e nella realizzazione di infrastrutture collaterali.
La riforma normativa  è un’occasione storica per scongiurare ulteriori  anni di incertezze e per dare al sistema produttivo l’opportunità di operare con serenità. Ma anche “per mettere insieme, pur nelle rispettive diversità, particolarità e necessità, maggioranza e opposizione, imprese e ambientalisti, cittadini e amministrazioni. I nostri SI alla legge urbanistica sono anche un impegno verso le imprese che continuano a soffrire e combattere la crisi; verso i lavoratori che, ogni giorno nelle proprie aziende, lottano per il proprio posto di lavoro; verso i territori che credono in un futuro migliore e in uno sviluppo che non sia fatto solo di promesse e parole”.
E a proposito di promesse e parole, nella nota l’accento finale cade sulle prossime elezioni regionali e a chi si candida a rappresentare la Sardegna Meloni lancia un messaggio chiaro :”… occorrono norme urbanistiche che ci consentano di svolgere e far crescere la nostra economia, la nostra società e il nostro territorio, i quali sono ‘naturalmente’ e fortemente orientati verso il turismo moderno e sostenibile, in sintonia con quanto il mercato ci chiede. Siamo alla vigilia di scelte che rappresentano un’importante sfida per il futuro dell’Isola e che determineranno per  il comparto delle costruzioni un generale processo di revisione del sistema costruttivo. Ma bisogna fare presto per scongiurare, insieme, la prosecuzione della paralisi dell’edilizia sarda”.

Mater Olbia ultimo step

 

Buone notizie per l’apertura del Mater Olbia? Sembra proprio di sì. A leggere la nuova versione estiva  del decreto “Milleproroghe”, approvato ieri dal Consiglio dei ministri, si trova  un riferimento alla Sardegna nel capitolo dedicato al tema “Salute”.  Dopo la parte sull’utilizzo delle risorse finanziarie da parte delle regioni virtuose, a valere sul fondo del servizio sanitario nazionale, è stato scritto  che  “…inoltre, allo scopo di salvaguardare la partecipazione di investimenti stranieri alla realizzazione di strutture sanitarie per la Regione Sardegna, si prevede una estensione al periodo 2018-2020 delle deroghe in materia di riduzione della spesa per prestazioni sanitarie”.

Considerato, dunque, il via libera governativo alla spesa regionale per il prossimo triennio, anche in  deroga a fronte del dissestato budget sanitario della Sardegna, e l’espresso riferimento agli “investimenti stranieri” nel settore, sembrano venir meno gli ostacoli finora frapposti alla  convenzione con il servizio pubblico delle prestazioni sanitarie che verranno effettuate  della struttura ospedaliera di eccellenza, realizzata dal fondo sovrano del Qatar alle porte di Olbia.

Per  sciogliere il nodo dei rimborsi pubblici alle prestazioni sanitarie erogate dal Mater Olbia, occorrerà un adeguato stanziamento con relativa delibera della Giunta regionale sarda che finora ha garantito una copertura parziale sufficiente solo per l’anno corrente dopo l’apertura prevista in autunno. Con il decreto approvato ieri il Governo ha autorizzato la Regione a stanziare provvidenze anche per il prossimo biennio, ora il passo successivo spetta alla giunta Pigliaru. Cadrebbe cosi anche l’ultimo ostacolo alla più volte rinviata apertura, e all’operatività del Mater Olbia, da tempo invocata da tutti i rappresentanti delle forze politiche e sociali del territorio gallurese.

Come eravamo

 

Volti, figure negli antichi costumi, paesaggi, mestieri. Il racconto di “come eravamo”  nei 108 scatti realizzati da Guido Costa e in mostra all’Expò di Olbia, da ieri fino a tutto agosto.  C’è la Sardegna di inizio ‘900, in un percorso per immagini che si ferma ai primi anni anni 30 del secolo scorso, dal sud al centro dell’Isola; da Cagliari e il Campidano, ai paesi dell’interno e della Barbagia. La mostra è organizzata dall’Istituto Superiore Regionale Etnografico e dall’associazione culturale Deamater, con il patrocinio dell’assessorato alla cultura del comune di Olbia.
L’esposizione aperta tutti i giorni nella sala Expò di via Porto Romano, può essere visitata fino al 31 agosto dalle ore 18.00 alle 24.00. L’ingresso è libero.